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Se n’è andato via due anni fa Sinisa Mihajlovic e lo ha fatto lottando come sempre in campo. Stavolta però la posta in gioco non erano i tre punti e la partita non è stata alla pari. Mihajlovic ha dovuto affrontare un avversario subdolo che non ha accettato di esser stato battuto una prima volta e si è ripresentato in maniera scorretta portando via ai propri affetti più cari un nonno, un padre ed un marito. E’ stato come se Sinisa vinta una partita in campo dopo 90′ minuti fosse stato costretto a giocare di nuovo senza nemmeno il tempo di cambiarsi la maglia sudata e per di più contro un avversario fresco e riposato. Aveva annunciato al mondo intero di avere la leucemia. Nemmeno il tempo di metabolizzare come stava cambiando la sua vita che si è messo subito in gioco per combattere. Ha affrontato con coraggio un programma terapeutico duro e debilitante che lo ha provato nel fisico, ma non nell’animo. La tempra che vedevamo in campo era nulla a confronto di quella che ha messo per vincere la guerra che dentro di lui si stava scatenando.

Con Mihajlovic non se n'è andato via solo un calciatore, ma soprattutto un uomo che è stato capace di farsi amare da tifosi e compagni e farsi rispettare dagli avversari. Era arrivato a Roma nel 1992, sponda giallorossa da Campione d’Europa, ma c’era rimasto solo due anni. Da lì in poi il passaggio alla Sampdoria, per far ritorno nella Capitale stavolta a difendere quei colori che gli sono rimasti nel cuore fino alla fine dei suoi giorni. “Sono tifoso della Lazio” ha sempre ricordato a chi gli chiedeva che emozione provasse quando affrontava da avversario la squadra biancoceleste. La sua gente gliene ha sempre dato atto ogni qual volta se lo trovava di fronte come avversario.

In quei momenti affiorano però i ricordi di quando chi vi scrive frequentava la Curva Nord. C’è stato un periodo in cui un calcio di punizione veniva accolto con più entusiasmo di un rigore. Ho ancora in mente quella sensazione che accompagnava la corsa con cui quel calciatore che indossava la maglia numero 11 attraversava tutto il campo per andarsi a prendersi il pallone. Un’andatura caracollante mai accelerata proprio fatta apposta per far godere quel momento ai suoi tifosi e creare sconforto e paura ai giocatori ed ai tifosi avversari. Naturale era diventato urlare “E se tira Sinisa…. e se tira Sinisa…. e se tira Sinisa è gol!!!”. Emozioni che ad anni di distanza mi fanno venire i brividi e che oggi sono state tramutate in una inesorabile tristezza dovuta ad una morte ingiusta, sbagliata ed inconcepibile.

Una cosa però è certa “Se la mia vita dipendesse da un calcio di punizione non esiterei a rispondere… TIRA SINISA!!!”. Tutto questo non perché sono sicuro che farà gol, ma solo per poter rivivere quella sensazione che me lo ha fatto entrare nel cuore…

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