header logo

E' stato una sorta di dandy padano trapiantato a Roma. Renzo Garlaschelli, classe 1950, è stato uno dei migliori interpreti di quella Lazio targata Maestrelli. Fu proprio il Maestro, correva l'anno 1972, a volere che quell'ala guizzante, messasi in luce nella sua Lombardia con le maglie di Sant'Angelo Lodigiano (serie D) e Como (tre stagioni in B con i lariani), approdasse sulla sponda biancoceleste del Tevere. Il ragazzo di Vidigulfo, piccolo comune del Pavese incastonato tra i fiumi Olona e Lambro, era chiamato a raccogliere la pesante eredità di Massa, accasatosi nel frattempo all'Inter. Maestrelli individuò così in Garlaschelli la spalla ideale per Giorgio Chinaglia, lo considerava la pedina in grado, con le sue caratteristiche, di aprire i varchi giusti a Long John. I risultati dettero ragione al tecnico biancoceleste che, grazie alle reti di Giorgione propiziate anche dal grande lavoro di Garlaschelli (capace di firmare, alla fine di quella indimenticabile stagione, dieci centri), porterà la Lazio al suo primo scudetto. Garlaschelli ha vestito la maglia della prima squadra della Capitale per ben due lustri (1972-1982) siglando in tutto 64 reti (senza rigori), che fanno di lui uno degli attaccanti più prolifici della storia biancoceleste.

Facciamo subito un po' di amarcord: che ricordi conserva di quella squadra incredibile?

Eravamo una banda di matti, una squadra divisa in due clan, quello dei milanesi col sottoscritto, Re Cecconi, Facco e Frustalupi e l'altro con i vari Wilson, Oddi e Chinaglia. A Tor di Quinto battagliavamo in settimana durante gli allenamenti, nessuno ci stava a perdere, capitava spesso di venire quasi alle mani. Poi la domenica, magicamente, il gruppo si ricompattava, tornava granitico ed erano guai per l'avversario di turno.

Lei fu protagonista nel bene e nel male di quel Lazio - Foggia di 50 anni fa: ci racconti quel pomeriggio...

Eravamo molto nervosi. La spinta di quel pubblico incredibile ci dette la giusta carica ma non riuscimmo a sfondare il muro del Foggia. I pugliesi dovevano salvarsi e chiusero tutti i varchi. Poi, nella ripresa,  una mia iniziativa propiziò il famoso rigore di Chinaglia, ma il nervosismo non passò. A farne le spese fui proprio io. Reagii ingenuamente a una stupida provocazione e il signor Panzino mi espulse. Passai con ansia, negli spogliatoi, gli ultimi minuti di quella palpitante domenica. Se lo scudetto fosse sfumato per colpa mia mi avrebbero crocifisso. Per fortuna, andò come sappiamo...

Prima parlava dei clan: lei da che parte stava?

Io ero neutrale. A me piaceva essere defilato, un po' come il ruolo che svolgevo in campo.

Lei ha firmato tanti gol in maglia biancoceleste: ce n'è uno che ricorda con particolare piacere?

Il primo in serie A. Lo realizzai la stagione precedente allo scudetto, a Firenze, e ci consentì di espugnare di misura il campo della Fiorentina.

Lei è stato la spalla di Chinaglia...

Giorgio era unico, aveva un furore agonistico fuori dal comune, il gol era tutto per lui, che fosse una sfida amichevole o una gara ufficiale voleva sempre, come si dice, timbrare il tabellino. Era una persona autoritaria, poteva talvolta apparire burbero, ma sapeva essere anche divertente ed era buonissimo d'animo. Capii subito il suo forte temperamento a Brindisi, in Coppa Italia, quando sotto la doccia, al termine della gara persa 1-0, mi redarguì invitandomi a correre di più e a parlare di meno. Giorgio era fatto così. Peccato per il suo amaro epilogo, quel 1 aprile di dodici anni fa ci ha giocato davvero un brutto scherzo. E pensare che c'eravamo sentiti qualche mese prima ...

Maestrelli abbracciato a Chinaglia e Wilson il giorno dello Scudetto

E Tommaso Maestrelli?

Un'altra persona straordinaria, dubito che un altro al posto suo sarebbe stato in grado di gestire quel manipolo di folli. Maestrelli era competente, capiva molto di football, è riuscito in breve tempo a plasmare un gruppo forte portandolo allo scudetto, impresa non facile a Roma. E' grazie soprattutto a lui se sono diventato un grande giocatore, io venivo dalla provincia e la massima serie mi sembrava un sogno. E' stato decisivo per la mia formazione.

E il suo conterraneo e indimenticabile Cecco?

Luciano era un uomo speciale, solare e divertente, in campo dava l'anima. Peccato per quella tragica fine ancora avvolta, a distanza di tantissimi anni, nel mistero.

Le piace il calcio di oggi?

Andrò controcorrente, sì. Rispetto ai miei tempi indubbiamente molto è cambiato, è vero, si gioca a ritmi forsennati, quando giocavo io la tecnica prevaleva sull'agonismo. Il calcio mi piace e mi tiene ancora compagnia.

E la Lazio di oggi?

E' una buona squadra che annovera ottimi calciatori. A me piacciono molto Felipe Anderson e Luis Alberto. Spero che il nuovo tecnico sarà all'altezza della situazione, fare meglio di uno come Sarri non sarà facile, ma sono abbastanza fiducioso.

Garlaschelli oggi?

Sono in pensione da tempo, mi godo la tranquillità della mia Vidigulfo. Cerco di rimanere in forma con le passeggiate in bicicletta.

Di Libero Marino

17 anni fa l'omicidio di Gabriele Sandri: Caro "Gabbo" i laziali non dimenticheranno mai
Lazio - Empoli, la designazione arbitrale - I PRECENTI