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MITO CHINAGLIA ICONA CALCIO - "Suo figlio non è portato per giocare a calcio". Sembra sicuro il neopresidente dello Swansea Glen Davis, nel colloquio con il signor Mario Chinaglia, emigrato fino in Galles da Pontecimato. Qualche tempo dopo erano arrivati dall'Italia anche i figli, tra cui Giorgio, che in terra straniera si era dato Rugby. Ma quello, "Non è uno sport per italiani", aveva tuonato il padre, invitandolo a passare dalla palla ovale a quella rotonda. Una famiglia povera, quella dei Chinaglia, ma piena di dignità e valori. Nonna Clelia è l'eroina del piccolo Giorgio che fino all'età di 8 anni resta con lui, prima del famoso viaggio a Cardiff fatto con un cartello legato al collo che riportava l'indirizzo della famiglia nel caso si fosse perso.

Il rientro in Italia

Essere "abbandonato" dal calcio inglese, per quel 19enne fisico e poco elegante, è un colpo duro. Ma per fortuna accorre in suo aiuto la madrepatria. Certo, tre anni in Purgatorio in serie C, lo fanno soffrire. Ma poi, dopo l'esperienza alI'Internapoli, arriva finalmente la chiamata in Serie A, alla Lazio. Giorgio era felice di venire a Roma, soprattutto perchè non lontana da quella Napoli dove aveva lasciato la sua Connie Eruzione, la bella fidanzata, figlia un alto ufficiale della Nato.

Dal maestro a Maestrelli

Con la Nord è amore a prima vista. Anche se, per via del suo carattere ruvido, non risulta simpatico proprio a tutti. Quel giocatore grande e grosso, che si lascia notare per quella camminata pesante e la testa incassata tra le spalle larghissime, presto verrà soprannominato “Long John”, per una marca di whisky che amava tanto. La Lazio di Maestrelli e Chinaglia è una squadra degna di un romanzo anni '70: quella delle due fazioni nello stesso spogliatoio.

Signori contro poveracci

Da una parte Long John, Pino Wilson e Giancarlo Oddi, dall’altra Pierluigi Martini, Luciano Re Cecconi e Mario Frustalupi, quelli del Nord. Le partitelle in famiglia diventano battaglie in campo, “Signori contro poveracci”, come diceva Giorgio. In quello spogliatoio così assurdo, Chinaglia ci tiene a riaffermare la propria leadership. “Con i vostri stipendi non ci comprate nemmeno le mie scarpe”, disse un giorno ai compagni. Qualcuno si vendicherà inchiodandogliele al muro. Oddi anni dopo confesserà: quella frase era stata troppo pesante anche per lui che era suo grande amico. “E poi le scarpe di Giorgio erano inguardabili”.

"Con i vostri stipendi non ci comprate nemmeno le mie scarpe!"

Scanzonato, folle, idolo, eroe immortale

La Lazio 73-74 è un sogno che si realizza. Ed è il successo nel derby con la Roma a mettere il turbo ai biancocelesti che puntano al primo Scudetto della storia. Un 2-1 in rimonta, con Giorgio Chinaglia in mezza rovesciata che firma il vantaggio. Corre verso la Sud, la zittisce. Fa strano ricordare certi gesti, oggi che qualche calciatore invece, corre a zittire la propria. I tifosi giallorossi non la prendono bene. A casa Chinaglia vengono recapitate promesse di vendetta. Nell'atteso derby di ritorno, il 17 marzo 1974, la Roma lotta per non retrocedere, la Lazio punta in vetta. Ma tutto lo stadio, attende lui, Chinaglia. Dagli spalti quando i romanisti lo riconoscono, partono bordate di fischi. Chinaglia fa paura.

Il dito verso la Sud

Le squadre iniziano il riscaldamento e Giorgio, rivolto verso la Sud, mima il gesto di chi prende la mira con il piede. “Andai anche negli spogliatoi della Roma per dire loro: vi aspetto fuori,” rivelò Chinaglia anni dopo. E anche quella volta, la storia si ripete. E' ancora Long John a fissare il risultato sul 2-1 per la Lazio, su calcio di rigore. Giorgio segna e corre oltre la porta romanista puntando il dito verso la Sud. E' in quel preciso istante che diventa un simbolo. E nella partita decisiva per l'assegnazione dello scudetto contro il Foggia, fa ancora di più: sarà proprio lui , infatti, a segnare su rigore il gol della gloria eterna: “Sono le 17,45 del 12 maggio 1974, la Lazio è campione d’Italia”. La foto di Chinaglia, accerchiato dai tifosi che fanno un' invasione di campo, è storia. Giorgio chiude vincendo anche la classifica dei cannonieri: 24 gol, in un torneo di appena 30 partite.

Andai anche negli spogliatoi della Roma per dire loro: vi aspetto fuori. Oggi può sembrare assurdo, ma io ero davvero tifoso della mia squadra

"La più grande delusione della mia vita"

La più grande delusione della mia vita”, disse una volta Chinaglia in un’intervista Rai, parlando della Nazionale. Storica la gara dell’Italia che va sotto di un gol con Haiti, ed il ct Valcareggi che sostituisce Chinaglia con Anastasi nella ripresa. Giorgio ha sempre avuto quel carattere lì, e anche in mondovisione se ne frega delle buone maniere: esce dal campo mimando con la mano un plateale “vai vai” all’indirizzo della panchina fino al liberatorio “vaffa”, chiaro a tutti. Chinaglia diventa un caso nazionale. Che finisce presto, con l'eliminazione della Nazionale del Mondiale. E dopo lo scudetto, anche a causa della malattia del suo mentore Maestrelli, i giorni di Giorgio in Italia sembrano arrivati al capolinea.

"Sto diventando ricco per comprarmi la Lazio"

Giorgio Chinaglia cambia vita, passando ai New York Cosmos, dove in squadra gioca con Pelè, Beckenbauer e Carlos Alberto, tre campioni del mondo. A soli 29 anni, a differenza dei nomi altisonanti in squadra, Giorgio ha tanta voglia di continuare a segnare. Ed in America si farà ricordare, facendone ben 231 in 234 partite. Per 4 volte vincitore del SuperBowl e per 5 volte miglior giocatore della NASL, North American Soccer League.

Chinaglia presidente, i guai giudiziari

Nel 1983 le sirene italiane, anzi laziali, lo chiamano: Chinaglia vuole diventare presidente della Lazio. Ma dopo appena due anni, è costretto a cedere le quote della società a Franco Chimenti. Nel 1996 iniziano i guai giudiziari. Una lunga storia di accuse e processi, giunta fino al 2008, quando fu condannato per riciclaggio di denaro. Chissà se il primo aprile 2012, nella sua calda casa a Naples in Florida, prima di morire avrà pensato anche un po' alla sua creatura, diventata una chimera: "Sto diventando ricco per comprarmi la Lazio". Lo voleva con tutto se stesso, e forse ci avrebbe riprovato.

"Giorgio Chinaglia mi ha salvato la vita"

"Mio fratello è figlio unico
Perché è convinto che Chinaglia 
Non può passare al Frosinone"

C'è uno scrittore, Alessandro Moscè, che in un suo libro racconta la malattia che lo ha colpito quand'era un ragazzino. Un terribile tumore, per cui negli anni '80 si registrarono solo due soli casi di guarigione clinica. Uno dei due guariti era proprio Moscè. "La mia motivazione era rappresentata dal mio idolo, un calciatore: Giorgio Chinaglia. Volevo conoscerlo, e il desiderio spingeva a far mio lo slogan dei tifosi della Lazio che lo magnificavano: “Giorgio Chinaglia è il grido di battaglia". E proprio lui, a Giorgio Chinaglia oggi dice grazie. Perché quel motto che urlava da un letto d’ospedale, mentre intorno c'erano ragazzini amputati alle gambe o alle braccia, era una sorta di grido di riluttanza alla morte, di opposizione. La ribellione di un bambino all'orrore della malattia.

"Giorgio Chinaglia voleva vedermi nel 2012, ma non poteva rientrare in Italia perché sotto processo. L’ultima volta che lo sentii mi disse: “Non sono io ad aver giocato con Pelé. È lui che ha giocato con me”.

Long John era diventato il suo motivo per sopravvivere. E probabilmente non solo il suo. E quella Lazio, era l'unico motivo per cui sembrava bello "ammalarsi inguaribilmente". Proprio come diceva l'eterno Capitano, l'icona romantica con addosso la maglia biancoceleste di lana, morbida e scivolosa, sopra la quale c'era lo scudetto a triangolo sul lato destro.

Il Dio laico

Qualche tempo fa, la figlia di Trump, Ivanka, si era fermata a cena in una trattoria della Capitale. E vedendo l'immagine di Chinaglia con le braccia aperte e gli occhi rivolti verso il cielo, appesa al muro, chiese alla proprietaria: "Che Santo è?". Probabilmente, per quel bambino malato e per molti laziali di ieri e di oggi, quella domanda non sembrerà poi così sbagliata. Perché Chinaglia per chi tifa Lazio è sì un santo laico, un credo, una fede a cui appellarsi quando è più difficile essere laziali. Ma soprattutto, per gli altri momenti... quelli in cui sarebbe stato bello festeggiare un po' di più alla Chinaglia. Come l'eterno scanzonato ragazzone, con il dito verso la Sud, l'idolo folle, l'immortale.

 

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