18 gennaio 1977, 'Angelo Biondo' per sempre: le ombre dietro la tragedia
Chi nasce in un paese di campagna, da una famiglia semplice e genuina, non poteva sapere. Impossibile, per un ragazzo venuto dal Nord, capire il clima di quegli anni, nella Roma della Banda della Magliana, tra degrado e malavita. Chi nasce in un cascinale e fa degli scorci di campagna la sua felicità, si accontenta del colore mutevole delle stagioni e del profumo della terra a volte bagnata, altre arida. La sua realtà, «Cecco» la raccontava spesso, ed amava definirsi un provinciale. Era la vita semplice di un Re, a cui bastava un niente per stare bene: un bicchiere di vino buono, una dichiarazione d’amore alla prima ragazza. E lui l'aveva pure trovata, lì a Nerviano; presto diventerà pure sua moglie. Era dolce, Cesarina, cresciuta con gli stessi paesaggi davanti agli occhi e con quella stessa gioia di vivere. L’ha sposata nel 1974, proprio dopo l'euforia dello Scudetto.
CeccoNetzer
Alla Lazio Cecco ha trovato la Nazionale e pure un amico. Un vero amico. Si chiama Luigi Martini: «Ricordo che mentre stiamo per buttarci da 600 metri, il Cecco mi fa: e se poi non si apre il paracadute… Ed io: Cecco, ma ci pensi adesso…?». Con lui, le avventure più spericolate. A Roma Cecco è felice, e dentro di se resta il cuore di quel bambino che lassù al Nord poteva dormire con l’uscio di casa accostato, quando non c'era odio, paura, tensione sociale. «Così la vita mi ha dato anche un Re, davanti al cognome, come a molti della mia terra. L’episodio di Vittorio Emanuele viene tramandato da generazione in generazione. Ne siamo orgogliosi", raccontava CeccoNetzer, così lo chiamavano, per via di quella chioma lunga e dorata che lo faceva assomigliare a Netzer, centrocampista alemanno del Borussia, in quegli anni, metà Settanta, stella del Real Madrid.
"Ricordo che mentre stiamo per buttarci da 600 metri, il Cecco mi fa: e se poi non si apre il paracadute… Ed io: Cecco, ma ci pensi adesso?"
LUIGI MARTINI
L'Angelo Biondo e il Maestro
Re Cecconi è anche altro. Sul campo, specialmente a Roma, si trasforma in gladiatore generoso in un triennio talmente bello che sembra un sogno. La Lazio, una squadra costruita su anonimi giocatori presi dalla strada abbatte gli squadroni del nord. Ma Re Cecconi resta modesto. Anche quando lo chiamano in Nazionale. Quella di Re Cecconi, per anni è una Lazio stupenda, piena di bravura, di liti anche ma soprattutto di momenti di gloria. Ma come la vita, le cose belle sembrano passare troppo velocemente. Nemmeno un entusiasta come lui poteva saperlo. E così la Lazio che sembrava invincibile lentamente, si sgretola in coincidenza con la dolorosa malattia del suo maestro, Tommaso Maestrelli. Negli ultimi tempi Cecco era felice, perché il dott.Ziaco gli aveva assicurato che sarebbe rientrato in squadra a fine mese, dopo un brutto infortunio. "Va meglio Dottore, mi sento pronto. Domenica a Cesena sono convinto che giocherò, facendo rimanere tutti a bocca aperta", aveva detto dopo essersi allenato in solitario al Flaminio dove aveva ricevuto anche la visita del suo amato Maestrelli ormai consumato dal male che lo porterà dopo poco alla scomparsa prematura.
"Fermi tutti, questa è una rapina"
E' martedì 18 gennaio 1977, una sera qualsiasi in un'ora qualsiasi. Una giornata piovosa e fredda si, ma nulla di inconsueto per quel periodo, a Roma. Re Cecconi gioca per intero la partitella d'allenamento con il resto della squadra. È carico e pronto a rientrare quando, al TG1 danno la notizia che scuote Roma e non solo. Non è la solita rapina nella violenta Roma degli anni '70, a dirla tutta non è affatto una rapina. Quella sera Luciano, in compagnia di Pietro Ghedin e Renzo Rossi incrocia Garlaschelli, ma l'ala declina l'invito dei due a passare del tempo insieme e va via, come farà di lì a poco anche Rossi. Allora Re Cecconi e Ghedin, insieme, si recano da un loro amico comune, Giorgio Fraticcioli, che vendeva profumi, per fare due chiacchiere. Il negoziante li invita ad accompagnarlo da un cliente a cui deve consegnare dei flaconi in una gioielleria di via Nitti. I tre entrano poco prima dell'orario di chiusura, intorno alle 19,30. Luciano è sempre stato un estroverso, una persona simpatica e giocosa. Così l'idea: all'ingresso della gioielleria Re Cecco si presenta col bavero alzato esclamando: "Fermi tutti questa è una rapina".
"Era solo uno scherzo"
Il gioielliere, Bruno Tabocchini, allarmato già dalle precedenti rapine subite, non lo riconosce, anzi vede la sagoma davanti a lui tiene una mano in tasca (simulando una pistola). Il calciatore e l'amico non possono immaginare minimamente che il maldestro scherzo sarà l'epilogo di un assurdo destino. Il gioielliere che si è intanto munito di una pistola Walther calibro 7,65, infatti, prende in mano l'arma sparando un colpo. Re Cecconi, preso in pieno nel petto, non fa in tempo a dire altro che: "Era solo uno scherzo". Ghedin è più fortunato, si fa riconoscere ed evita la stessa sorte del laziale. Poi si gira verso il compagno dicendogli di alzarsi, ma si accorge del sangue che esce dal torace. Il dramma è servito. Qualcuno ferma una pattuglia della polizia che porterà Re Cecconi al San Giacomo dove arriverà purtroppo morto. Luciano lascia così, a soli 28 anni appena compiuti, la giovane moglie Cesarina ed il figlio Stefano di due anni. Francesca, la secondogenita, era nata da pochi mesi.
L'unico a non avere una pistola
La notizia si sparge a Roma e non solo. Accorrono i compagni di squadra ed il presidente Umberto Lenzini increduli. Felice Pulici è l'unico a vederlo all'obitorio, nudo con un piccolo foro del proiettile che gli è penetrato nel cuore. Gli altri non riescono nemmeno ad entrare. Troppo assurdo, troppo doloroso. Ghedin addirittura è in preda alle convulsioni in stato di shock. Più tardi le dichiarazioni: Tabocchini venne arrestato ed accusato per "eccesso colposo di legittima difesa". Processato per direttissima 18 giorni dopo, verrà assolto per "aver sparato per legittima difesa putativa". Luciano Re Cecconi, proprio secondo quel destino assurdo e beffardo, era l'unico giocatore della rosa laziale del tempo a non possedere un'arma da fuoco.
Luci e ombre
I funerali si svolsero presso la basilica romana di San Pietro e Paolo all'EUR a cui prese parte una gran folla. Le sue spoglie vennero poi tumulate nel cimitero di Nerviano (MI). Scriveva Giorgio Tosatti: "La morte di Re Cecconi rappresenta un dramma cui nessuno può sentirsi estraneo: è la folgorante testimonianza della nevrosi nella quale viviamo. Di queste nevrosi si trovano prove anche nei commenti della tragedia: il cinismo si sostituisce alla pietà, la riprovazione per la stupidità dello scherzo è superiore allo sdegno per il modo in cui è stata stroncata la vita di un uomo". Nel libro Lui era mio papà edito nel 2008 e scritto dal figlio Stefano, la versione dei fatti sempre raccontata dal gioielliere viene ritenuta poco credibile da Martini e D'Amico che hanno sempre ritenuto che Re Cecconi con gli estranei avesse sempre mantenuto un comportamento riservato. Inoltre non è da dimenticare il fatto che il Tabocchini pochi mesi prima aveva sparato a due rapinatori ferendoli. La verità su quella tragica sera forse è stata un po' diversa da quella che si è sempre sostenuta.
Ho visto un Re
Ucciso perché colpevole di troppa felicità, in un mondo dove era ormai vietato scherzare. Perso dietro i suoi sogni, che lo hanno portato lontano dal destino da carrozziere, anche se poi a Cecco quel mestiere era sempre piaciuto. Prima della sua morte, uno degli adolescenti che pitturavano con il giallo il numero 8 della Lazio del Subbuteo salì su un albero della collinetta di Monte Mario dove, quando non avevano ancora messo la copertura allo stadio Olimpico, si poteva vedere anche la partita. All’improvviso vide Re Cecconi: «Quando è cominciato il secondo tempo, nell’arcobaleno è entrato all’improvviso un raggio azzurro. Era Luciano Re Cecconi che batteva il calcio d’angolo. Un lampo più che un raggio. Ed era biondo come una corona…». L’ha scritto Carlo D’Amicis in Ho visto un Re, un libro dedicato a Re Cecconi. Nel novembre 2003, il Comune di Roma gli ha dedicato una strada nel quartiere Tuscolano. Intitolato a lui anche il campo sportivo di Nerviano. E poi, quella poesia dedicata dal suo grande amico Gigi Martini, il “comandante”, al quale eri legato da un’amicizia così profonda che li rendeva quasi dei fratelli.
“Nella città eterna trova un amico
corrono insieme
soffrono insieme
vincono insieme
Una palla di piombo
ferma il suo cuore
il suo sogno dove sarà”
Un bacio lassù, all'uomo, il padre di famiglia, il laziale. Ad uno dei giocatori più forti della storia centenaria biancoceleste, un grande centrocampista, uno dei pupilli di Tommaso Maestrelli.....per sempre, il suo Angelo Biondo.