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Si chiama "12 Maggio, cinquant'anni dopo" (Milieu editore) l'ultimo lavoro di Guy Chiappaventi. Il giornalista romano, classe '68, torna così con la sua penna elegante e mai banale a raccontarci di Lazio. Lo fa magistralmente con lo slancio del tifoso appassionato ma anche e soprattutto con il rigore del cronista di razza, offrendoci anche uno spaccato socio-politico di quegli anni difficili che vedono il primo tricolore di quella squadra di matti, irripetibile, guidata dal grande Tommaso Maestrelli e trascinata dai gol di Giorgio Chinaglia. Chiappaventi ci aveva regalato un succulento antipasto di quelle gesta già in "Pistole e Palloni". Nel nuovo libro, che ne è la naturale prosecuzione, l'autore indugia sulle ultime ore che precedettero il trionfo biancoceleste in un pomeriggio afoso di metà maggio nella cornice di un Olimpico stracolmo. All'orizzonte il Referendum sul divorzio e l'inizio degli "Anni di Piombo" che metteranno a dura prova non solo la Capitale. Dalle pagine trasuda una lazialità di cui Chiappaventi non ha fatto mai mistero e che continua a ostentare con orgoglio anche a Milano, dove si è trasferito da circa tre lustri.

12 maggio. Cinquant'anni dopo - Guy Chiappaventi - Libro - Mondadori Store

La Lazio ha scelto Tudor per il dopo Sarri: è l'uomo giusto per lei?

Francamente non mi fa impazzire. Ha un carattere difficile, non ha un grande curriculum. Ha fatto bene a Marsiglia, è vero, ma il campionato francese non è esaltante, come sappiamo. Tatticamente è agli antipodi rispetto a Sarri. Sinceramente ho dei dubbi sul tecnico croato, spero faccia bene, io avrei scelto un traghettatore molto gradito alla piazza come Klose. Vedremo...

Ritiene che Sarri sia l'unico responsabile?

Non è il solo artefice del delicatissimo momento. Sicuramente c'ha messo del suo. La Lazio si esprimeva male, il gioco era diventato stantio e prevedibile. L'allenatore toscano ha sicuramente responsabilità tecniche, e ha pagato il fatto che alcuni degli interpreti migliori fossero ormai a fine carriera, Immobile su tutti. Ma è anche vero che Sarri, dopo lo straordinario secondo posto dello scorso anno, aveva chiesto alla società certi rinforzi che non sono mai arrivati a Formello.

Il 2024 segna il ventennio dell'era Lotito: che giudizio ha del presidente biancoceleste?

Io sono del 1968, ho vissuto tante Lazio, dai tempi bui della B allo splendore cragnottiano. Lotito è una via di mezzo tra queste due epoche. Il presidente ha fatto, senza dubbio, anche cose buone, ma la vicenda Sarri ha dimostrato in modo inequivocabile che la società è in confusione. Lotito, probabilmente, ha fatto il suo tempo, vent'anni non sono pochi. Il calcio è un sogno, la gente laziale ha tutto il diritto di pretendere di più da una dirigenza fatalmente distratta da altri interessi.

Ma il 2024 coincide anche, per fortuna, con un anniversario bellissimo: i cinquant'anni del primo scudetto cui ha dedicato la sua ultima fatica. Ci racconti...

Sì, "12 Maggio cinquant'anni dopo" è il secondo tempo di "Pistole e Palloni" (2004) e, insieme al libro su Re Cecconi (2016), va a chiudere una trilogia. E' il racconto di quelle ore frenetiche che precedettero il primo scudetto biancoceleste e il primo a Roma dal dopoguerra. Singolare è il contesto storico del tempo, si spengono gli echi sessantottini, che preparano il terreno alle Brigate Rosse e alla violenza degli "Anni di Piombo.

Il suo nuovo lavoro, dicevamo, è la naturale prosecuzione del fortunato Pistole e Palloni...

Sì, il nuovo libro si divide in tre parti. L'incipit è un mix di cronaca e calcio. L'opera ha inizio dal sabato precedente in una Roma biancoceleste surreale, che aspetta con ansia anche il Referendum sul divorzio. La seconda parte, quella centrale, è ambientata nel famoso hotel "Americana", sulla via Aurelia, con i ragazzi di Maestrelli che, chiusi nelle loro stanze il sabato sera della vigilia, vivono con ansia l'ultima notte prima dell'appuntamento col destino. Nella terza e ultima parte subentra l'io narrante, il demiurgo Maestrelli con il racconto del palpitante pomeriggio contro il Foggia. In mezzo a questo racconto collettivo si staglia anche il mio rapporto con la Lazio...

Com'è diventato laziale?

La mia è una storia particolare. Se non avessi avuto la Lazio, come ripeto sempre, forse mi sarei drogato. La mia passione per la prima squadra della Capitale matura in un contesto difficile come quello della fine degli anni Settanta, è in quei momenti bui che si è forgiata la mia lazialità. Io, figlio unico, venivo da una situazione familiare difficile, mia madre rimase presto vedova, vivevamo in zona Colli Albani. Alla fine feci la scelta più difficile, passai, come si dice, dalla parte del torto, sposando per sempre quei colori.

La sua prima volta allo stadio?

Il derby risolto allo scadere da Nicoli, la stracittadina che precedette quella dell'omicidio Paparelli. Avevo dieci anni, ricordi indelebili.

Da diversi anni vive a Milano: quanto le manca Roma?

Moltissimo, sono nel capoluogo meneghino dal 2011. Dico sempre che ho la valigia pronta e sono pronto ad andarmene in quarantottore.

Come mai, lei grande appassionato di calcio, ha  preferito anteporre la cronaca e l'attualità allo sport?

Sono cresciuto professionalmente cibandomi di cronaca e agli inizi della mia ormai trentennale carriera, a Telemontecarlo (l'antenata dell'odierna LA 7), mi fu anche proposto lo sport, ma rifiutai. Bei tempi con i grandi Sandro Curzi e Vitantonio Lopez. La verità è che non ho mai voluto mescolare la professione con la mia grande passione sportiva.

Il momento più esaltante di questi trent'anni in trincea?

Ce ne sono diversi. La parentesi più importante che ricordo con più emozione è quella relativa alla guerra in Iraq. Era il 2003, non avevo ancora 35 anni e mi ritrovai inviato a Baghdad. Un'esperienza indimenticabile che mi ha molto arricchito, lì mi resi conto di quanto fosse bello quanto rischioso il mio mestiere.

Una sua breve istantanea sul calcio di oggi?

Mi annoia da morire. Ormai seguo solo le partite della Lazio. Il football è ormai un retaggio sentimentale, il recupero settimanale della mia infanzia.

E sul giornalismo moderno?

E' molto cambiato, vive la sua stagione più difficile, i giornali non li legge più nessuno, è stato ucciso dalle nuove tecnologie.

Se non avesse fatto il giornalista?

Non lo so, non c'ho mai pensato.

Di Libero Marino

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