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In una lunghissima intervista concessa ai microfoni di Radio Radio, Patric ha parlato del presente e del suo futuro, dei nuovi compagni arrivati nel corso della sessione estiva di mercato e del momento che la squadra sta vivendo. Queste le parole: "Ormai sono otto anni, questo è il nono. Sono arrivato che ero un bambino e ora sono un uomo"

Sono nove anni che sei a Roma, hai avuto modo di conoscerla?

A essere sincero, non sono un grande appassionato di viaggi e di conoscere le storie delle cose. Ma come potevo non girare Roma? I primi anni soprattutto, è stato bello andare in giro a visitare i monumenti".

Chi hai portato della tua famiglia?

"Venivo da tre anni al Barcellona B e per me l’ultimo anno è stato un po’ difficile, speravo di partite prima. Avevo bisogno di quel cambiamento, di passare da bambino a uomo e con mio padre abbiamo deciso di venire qua perché la proposta della Lazio ci interessava tanto, ma anche perché volevamo cambiare nazione. L’Italia ci è sempre piaciuta e per diventare uomo avrei dovuto cambiare anche a livello di comportamento, confrontarmi con una lingua che non parlavo, un calcio diverso e penso che sia stato fondamentale. La mia famiglia ha deciso di seguirmi e siamo venuti in quattro: i miei genitori, io e mia sorella"

Com’è stato giocare nella Cantera del Barça e essere capitano della squadra B?

"Sono stato otto anni e ho fatto il capitano tre/quattro volte. Ogni anno ci sono stati cambiamenti, ho giocato con squadre di ragazzi più grandi di me e ho fatto il capitano solo quando giocavo con quelli della mia età. Hai sognato di giocare nel Barcellona? Si e ho avuto la fortuna di fare l’esordio in Champions League. Sono stato sei mesi nello spogliatoio, ma se posso essere sincero non ero pronto a livello mentale. A livello qualitativo sì. Nel calcio, lo dico sempre, puoi avere tanto dentro ma devi essere pronto a livello mentale e fisico. Chi impara prima è più avvantaggiato".

 

Ti aspettavi di restare così tanto alla Lazio?

"Io sono un giocatore, come dice la mia carriera, che non cambia tanto. Sono un giocatore da spogliatoio, che dà tanto a questo livello. Penso che sono stato 8/9 anni lì e posso stare a lungo anche qui".

Arrivi da terzino, poi con Inzaghi ti sei dovuto adattare a una difesa a 3. Ora con Sarri sei uno dei centrali. Puoi spiegare la tua evoluzione?

"È un po’ strano tutto, come la mia carriera. Tutto il periodo al Barcellona e al Villarreal sono partito come vertice basso, poi al Barcellona B e in mezzo al campo, c’era anche Luis Alberto, eravamo in overbooking. Il mister di allora mi voleva tenere a tutti i costi, ma mi disse che lì non avrei mai giocato e allora mi mise come terzino. Il gioco del Barcellona era molto posizionale, come quello di adesso col mister. All’epoca però io ero molto agitato, energico e non riuscivo a gestire bene le mie emozioni allora mi disse che la riga mi avrebbe aiutato e dato maggiore tranquillità. Ho iniziato lì come terzino, mi sono divertito. Quando sono arrivato qua ho fatto il terzino e per giocare a alti livelli secondo me potevo fare il terzino, ma non il quinto. Come sempre ho cercato di fare il mio meglio, senza dire niente perché avevo l’opportunità di stare in una grande squadra. Però non ero adatto per farlo".

È così difficile entrare nei meccanismi di Sarri?

“Io rispetto a altri compagni non ho sofferto tanto. Sono stato avvantaggiato perché venivo da un tipo di gioco non uguale, ma al Barcellona era simile rispetto a quello di Inzaghi e Pioli. Mi sono trovato subito bene. È particolare e richiede tempo, ma per me è stato non facile ma meglio rispetto a quello degli altri allenatori. Differenze con Inzaghi? Totalmente diverso. Inzaghi gioca col 3-5-2 di base, più a uomo mentre il mister gioca di più a zona con un 4-3-3 dove c’è più tattica e maggiore organizzazione. È un modo di gioco che lui ha creato, serve più tempo perché il modo di difendere e attaccare sono più suoi. È la prima volta che vedo un gioco così, creato da una persona”

Lo scorso anno siete arrivati secondi, state giocando la Champions ma c’è qualche difficoltà in più. Può essere che sia stata la partenza di Milinkovic e qual è il problema a oggi?

“Parlando di Sergej, quando un giocatore forte se ne va lascia sempre qualcosa. Sono arrivati però dei giocatori fortissimi che hanno bisogno di adattarsi. La squadra, anche se ancora non si vede, sta crescendo. Abbiamo preso tanti giocatori nuovi che devono prendere il ritmo, ma stiamo crescendo rispetto a quando abbiamo iniziato. I risultati arriveranno. Non è facile giocare ogni tre giorni con una competizione come la Champions, quindi penso che la squadra stia lì a quattro punti dalla zona Champions e a due partite per qualificarci agli ottavi. Siamo in gioco, stiamo crescendo è un buon momento”

 

Da veterano, dai una piccola caratteristica sui nuovi arrivati partendo da Castellanos…

Direi ‘garra’. Un giocatore con molto carattere e molta fame, tipico argentino. Penso che abbia tanto da dare, sempre a disposizione della squadra. Penso che ci può aiutare tanto sia a livello realizzato sia di pressione, per come giochiamo, sia a livello difensivo. È un giocatore forte forte. Guendouzi è un altro, secondo me sono simili loro due. Guenda ci dà tanta energia e carattere in mezzo al campo. Abbiamo bisogno di giocatori così in mezzo al campo, che si prendono le responsabilità e che se li guardi negli occhi sai che puoi contare su di lui per qualsiasi guerra. Kamada è uno tranquillo, penso che sia per la loro cultura. È più freddo e più tranquillo. Ha un grandissimo talento, adesso non sta avendo tanto spazio ma penso che ci potrà aiutare come ha fatto quando ha giocato. Rovella è un vertice basso di quelli che piacciono a me. Ho un debole per lui. È forte, sempre ben posizionato e sa sempre quando deve girarsi. Penso che sia fortissimo, crescerà e pian piano diventerà importante anche per la Nazionale. Isaksen? Ci sono giocatori che per natura si adattano più facilmente e altri, perché vengono da un calcio diverso e per personalità, che hanno bisogno di più tempo. Il suo contributo per la Lazio sarà tanto, ha un talento incredibile: bravo nell’uno contro uno, buon tiro in porta. Ci aiuterà in futuro. Adesso ha davanti un giocatore come Felipe che per il mister è fondamentale, però penso che piano piano potrà dire la sua”.

 

Visto da vicino, com’è Lukaku e cosa significa per te il derby?

"Romelu, lo sapete meglio di me che giocatore è. Lo ha dimostrato negli anni. Ho cercato di fare del mio meglio e penso che siamo stati bravi sia io sia Romagnoli a non lasciargli tante occasioni. Penso che, eccetto i primi quindici minuti, in tutto il resto della partita abbiamo fatto una buona gara a livello difensivo. Peccato non averlo vinto. Il derby sappiamo come si vive una partita del genere, cosa rappresenta per il nostro popolo e per la nostra città. A livello interno non lo prepari come una partita normale, ma troppa energia e troppa frenesia ti portano a sbagliare. L’abbiamo preparata come una partita normale, ma all’interno sappiamo cosa rappresenta”

La Lazio c’è nella lotta Champions?

Ovvio

Il tuo sogno?

“Il mio sogno è continuare a questi grandi livelli. Ho sempre detto che un giorno mi piacerebbe andare in nazionale anche se per una sola volta. Voglio stare tanti anni qua e sono felice nella Lazio”

 

Luis Alberto è l’erede di Milinkovic e il leader?

"Direi di si, già dallo scorso anno ha fatto un cambio incredibile. Si è caricato la squadra sulla schiena ed è giusto il rinnovo e tutto quello che la Lazio e i tifosi gli stanno dando. Non ha problemi nei momenti negativi di prendersi la squadra sulle spalle e dire ‘Andiamo ragazzi’. Penso che si meriti tutto quello che sta ricevendo, per noi è un piacere averlo e viene trattato come un grande giocatore quale è”.

Il momento delicato durante il Covid?

"Sono stato veramente male. Non ho mai detto niente e non voglio parlarne tanto perché mi fa emozionare. Sono uno che cerca sempre di tenere botta, la mia carriera lo dimostra. Giocatori in difficoltà come me penso che ce ne siano stati, ma la differenza è stata che io ho voluto imparare e crescere. Sono passati due anni prima di vedere cosa avessi imparato. Quel momento è stato negativo, sono molto emotivo e ipocondriaco e essere nel miglior momento della mia carriera, in cui tutti parlavano bene di me, e poi vedermi chiuso in una casa da solo senza i miei genitori e single. Io credo che le cose succedono per qualcosa, non mi pento di quello che è successo perché ho imparato tanto. Giocavo anche se non me lo sentivo, ho ricevuto molte critiche ma sono sempre stato in silenzio. Il mio contributo era poco, ma non mi sentivo di non giocare perché era come lasciare sola la Lazio. Dovevo giocare, non ho mai raccontato questa cosa a Inzaghi. Stavo rendendo tanto e poi dal nulla, anche facendo le stesse cose, è scattato qualcosa in me a livello mentale e non ero lo stesso. Mi chiedevo perché. Quando sei giovane pensi di poter fare tutto e di non aver bisogno di aiuto, non sai cosa ti succede per immaturità. A oggi, alle persone che stanno attraversando un periodo difficile, mi sento di dire di chiedere aiuto a professionisti perché da soli non ci si riesce”.

 

 

 

 

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